I piccoli centri hanno oggi l’antifragile possibilità di uscire dal disastro del Covid-19 con aspettative di prosperità per l’immediato futuro.
La possibilità di lavorare da lontano, da ovunque si ritenga intelligente farlo (è il significato letterale dell’espressione “smartworking”), addirittura da casa, rilancia l’appetibilità dei piccoli centri con la loro migliore qualità della vita, con la facilità di costruire reti sociali ricche e appaganti e di conciliare efficacemente i tempi della vita con i tempi del lavoro.
Naturalmente saranno preferiti i centri che potranno vantare
- infrastrutture adeguate, come spazi per il coworking confortevoli e ben attrezzati e banda internet rapida,
- relazioni di cittadinanza “accoglienti”, con una PA efficiente e attenta ai bisogni del cittadino e ai quattro pilastri costituiti da scuola, trasporti, sanità e gestione rifiuti,
- una organizzazione della vita a misura d’uomo con la capacità di dare risposte adeguate alle attese di qualità ambientale, sociale e culturale di chi proviene da grandi concentrazioni urbane.
Questi vedranno un incremento sensibile della popolazione, con netta prevalenza di professionisti e dipendenti di aziende medio-grandi (le pmi non soffrono in maniera uniforme il problema del distanziamento), operatori della conoscenza e amministrativi.
Le restrizioni imposte dal COVID-19 hanno dato la rapidità del terremoto a un processo da tempo in atto con modalità da bradisismo: il passaggio al lavoro a distanza, pur se ancora non sempre particolarmente “smart”, attesa la indubitabile riduzione delle spese a pari produttività è da considerarsi definitivo.
Questo cambia radicalmente le prospettive in termini di organizzazione delle città e della logistica, nonché di biopolitiche del lavoro: se non è più indispensabile spostarsi ogni giorno in direzione di un luogo lontano si può ragionare sul modello della “Città da quindici minuti”, partendo da una situazione di fatto già realizzata.
Sarebbe estremamente riduttivo e probabilmente inefficace ridurre il tutto a una pura questione di marketing territoriale: si tratta di immaginare e guidare un futuro in rapido avvicinamento, non di “vendere” quanto già esiste.
Perché questo si realizzi, tuttavia, è necessario attivare con urgenza un processo di ripensamento e pianificazione dello sviluppo, non solo in senso urbanistico, ma soprattutto sociale e organizzativo, in termini di ascolto e previsione delle esigenze che si vanno delineando, di presentazione dell’offerta di cittadinanza, di accordi di rete fra fornitori di servizi e gestori di infrastrutture, enti pubblici, privati e rappresentanze sociali.
Fertile ha la possibilità di accompagnare le amministrazioni locali in questo necessariamente rapido percorso, a partire dall’analisi dello stato attuale e desiderato, da svolgersi in collaborazione con Sindaco e Giunta, all’organizzazione di conferenze e negoziazioni, alla condivisione con la cittadinanza “storica” del cambiamento in atto e dei vantaggi attesi, fino all’adeguamento organizzativo e della stessa offerta culturale.
Ci piacerebbe discuterne con il sindaco, l’ente locale, il fornitore di servizi che assumerà la leadership del cambiamento in atto, coinvolgendo i “nodi” della rete che lo realizzerà.
Perché la cosa certa è che qualcuno lo farà, se già non lo sta facendo, e solo adesso si può scegliere se gestire il cambiamento o aspettare di essere costretti ad adeguarsi alle scelte di chi lo gestirà.
Guido Silipo